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ROMA - 18-10-2022 -- Quasi tutto da rifare. Con le indagini che s’avviano ormai verso la chiusura e alla vigilia delle prime udienze dell’incidente probatorio (giovedì, venerdì e lunedì prossimi al Tecnoparco), torna d’attualità il “caso” dei fermi seguiti al disastro del Mottarone, che tante polemiche ha sollevato nell’opinione pubblica e dentro il sistema giudiziario.

Il 23 maggio 2021 la cabina numero 3 della funivia, precipitando al suolo per la rottura della fune traente, provocò la morte di 14 persone e il ferimento grave d’una quindicesima. Le indagini portarono, in 72 ore, al fermo di tre persone: l’amministratore della società Luigi Nerini, il direttore tecnico Enrico Perocchio, e il direttore d’esercizio Gabriele Tadini, per la procuratrice Olimpia Bossi responsabili di omicidio e lesioni colpose e di aver disatteso le norme di sicurezza concordando sul disinserimento manuale dei freni d’emergenza. Tre giorni più tardi il gip Donatella Banci Buonamici mise Tadini ai domiciliari e non convalidò il fermo degli altri due perché non ritenne vi fossero sufficienti gravi indizi della correità. La Procura ricorse e si innescò una sorta di faida interna tra magistrati che vide il presidente del Tribunale Luigi Montefusco togliere il fascicolo a Banci Buonamici per riassegnarlo e che portò a inchieste interne al Csm tuttora aperte.

Il Tribunale del Riesame di Torino si espresse il 29 settembre (a 4 mesi dal disastro) ribaltando la decisione e stabilendo anche per Nerini e Perocchio la misura della custodia cautelare in carcere, accreditando il teorema accusatorio della Procura e correggendo il gip. I difensori dei due -nel frattempo l’indagine s’è ampliata a 14 soggetti, tra persone fisiche e società- presentarono a loro volta ricorso in Cassazione che, discusso lo scorso 15 aprile (a quasi 11 mesi dal disastro), ha avuto esito solo ieri. A poco meno di un anno e mezzo dalla tragedia e ben 185 giorni dopo essersi riuniti, gli Ermellini si sono espressi, annullando quasi del tutto la decisione del Riesame, cui è stato rimesso il fascicolo.

La prima sezione penale della Cassazione ha accolto il ricorso di Nerini secondo cui non gli era stato consentito a Torino di difendersi adeguatamente. La Procura aveva depositato alla vigilia dell’udienza numerose prove ulteriori, raccolte dopo i fermi e mai esposte al gip. L’avvocato Pasquale Pantano aveva replicato con una memoria non accolta dai giudici perché reputata tardiva. Un vizio, rilevato a Roma, che cassa del tutto la sentenza, rimettendo ogni valutazione di nuovo al Riesame.

Diversa la posizione di Perocchio, che non essendosi rifatto al medesimo cavillo legale, non ne ha potuto beneficiare. Gli Ermellini, tuttavia, pur riconoscendo un grave quadro probatorio a suo carico, hanno accolto come motivo d’appello l’eccessiva severità degli arresti domiciliari, lasciando intendere che avrebbe potuto essere sufficiente l’inibizione dalla professione.

 

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