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mazzotti

MILANO - 09-01-2023 -- Una svolta, un altro passo avanti verso una verità mai del tutto emersa. Quarantotto anni sono trascorsi da uno dei casi di cronaca più noti e crudi della stagione dei sequestri, il caso Mazzotti. Cristina Mazzotti, 18enne milanese figlia d’un imprenditore del settore dei cereali, venne sequestrata il 1° luglio del 1975 in provincia di Como. I familiari pagarono un riscatto da un miliardo e 50 milioni di lire, ma non ebbero mai indietro la studentessa. Il tentativo di riciclare il denaro da parte di un complice in una banca svizzera a Ponte Tresa, poco dopo il sequestro, portò gli inquirenti sulle tracce del gruppo di rapitori. Le sue ammissioni portarono, il 1° settembre, al rinvenimento del cadavere di Cristina, in una discarica a Galliate.

L’alto Novarese e il Lago Maggiore si scoprì che erano stati centrali nel sequestro. Dopo essere stata prelevata in auto, la giovane venne infatti condotta a Castelletto Ticino, in una cascina affittata l’anno prima, nel cortile della quale era stata ricavata una prigione. Rinchiusa in una buca lunga poco due metri e sessantacinque, larga 1,55 e profonda 1,45, foderata di cemento e umida, venne segregata e sedata. Secondo quanto ricostruito morì il 31 luglio, il giorno prima che venisse pagato il riscatto.

Il processo principale si tenne al Tribunale di Novara. Al termine di più procedimenti nei vari gradi di giudizio diventarono definitivi 3 ergastoli, 2 condanne a 30 anni, 3 a più di 20 e 5 a pene inferiori.

Nel 1994, vent’anni dopo, un’operazione antimafia condotta in Lombardia fece emergere indizi di un coinvolgimento della ‘ndrangheta. Del miliardo e 50 milioni di lire pagati, la somma sequestrata ai condannati fu pari solo al 10% perché, così sostiene l’accusa, era la parte che gli ‘ndranghetisti avevano lasciato agli esecutori materiali, trattenendosi il resto.

Su questa tesi, superato lo scoglio della procedibilità (nel 2015 la Cassazione ha stabilito che l’omicidio non cade mai in prescrizione), la Procura di Milano -cui è stata trasferita la competenza del fascicolo- oggi ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro imputati. Oltre al presunto boss Giuseppe Morabito, ci sono Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia.

 


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