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gelateria foto

TORINO - 03-11-2020 -- La notizia sull’ipotesi,

sempre più probabile, relativa alla chiusura di pasticcerie, gelaterie, bar e ristoranti del Piemonte, sine die, sta gettando nello sconforto la ristorazione artigianale del Piemonte.
 
 “Le nostre pasticcerie, gelaterie e ristoratori, rispettano rigorosamente le misure di sicurezza per difendere la salute dei cittadini. Per questo non comprendiamo perché, come apprendiamo dai giornali, siamo a rischio chiusura, mentre a negozi e grande distribuzione sarebbe permessa la commercializzazione di alimentari e prodotti dolciari”: così Anna Maria Sepertino, Presidente dell’alimentare di Confartigianato Imprese Piemonte l’ipotesi chiusura dei negozi che vendono beni non essenziali.
 
“C’è anche un importante effetto “collaterale” - continua la presidente -. L’eventuale chiusura della ristorazione penalizzerà pesantemente tutte quelle nostre imprese che, nel mondo HORECA, quasi 1500, avevano un gran fetta del loro mercato. Parliamo di salumifici, caseifici, birrifici, mulini e panifici solo per fare gli esempi più eclatanti. Ma non solo, ci sono anche realtà di ristorazione con contratti in essere per la somministrazione di pranzi e cene agli operai impegnati nelle grandi opere in Piemonte.”
 
In Piemonte, solo nell’artigianato, si contano 3.040 pizzerie, 704 rosticcerie e 1200 pasticcerie e gelaterie. Un settore, quello dell’agroalimentare che dà lavoro a circa 12mila addetti con un’offerta enogastronomica di 23 prodotti DOP, IGP e STG, ben 342 “tradizionali”.

Se sarà confermato il lockdown, si stima, che nel mese di novembre ci sarà un calo di fatturato del’80%, del 90% per il mese di dicembre e per le feste natalizie e la chiusura, nel nuovo anno, di un terzo delle imprese artigiane legate al food.
 
“Abbiamo perso l’80% del fatturato legato alla vendita di uova e colombe – sostiene Sepertino - non possiamo permetterci un nuovo lockdown, che comprometterebbe il fatturato legato alla vendita dei dolci natalizi”
 
In Piemonte si stima per dicembre una spesa delle famiglie in prodotti alimentari e bevande di 1.215 milioni di euro, più alta di 201 milioni rispetto al consumo medio mensile.
 
“Ma non era forse meglio lasciare gli orari più ampi possibili prevedendo al contempo più turni serali contingentati ed esclusivamente previa prenotazione? – continua Sepertino - Si sarebbero drasticamente ridotti gli assembramenti, avrebbero continuare a lavorare centinaia di migliaia di persone ed evitato questa dispersione di contributi a pioggia la cui esigua entità non rappresenta che una goccia nel mare dei bisogni per l’ingente danno economico che subiranno le imprese. Senza contare che il comparto della ristorazione coinvolge tutta la filiera agroalimentare, il packaging e l’intero settore produttivo delle attrezzature di settore.”

 

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